Skip to main content
x

I languori e le furie

Gesualdo Bufalino - I languori e le furie

I languori e le furie. Quaderni di scuola (1935-38)
Valverde, Il Girasole, 1995

Invito alla lettura

(Da I languori e le furie)

Nota di Gesualdo Bufalino

Nel ’35, nel ’36, nel ’37 e oltre, là dove vivevo, nella estrema provincia iblea, il ritardo culturale si misurava in molte decine d’anni: nessun giornale nelle edicole, se non la Gazzetta dello Sport; casuali ed erratiche le presenze novecentesche nella biblioteca comunale; prono, l’insegnamento scolastico, alle storiografie più polverose; anche se temperate da taluna delibazione crociana…
Non stupisce dunque se da ragazzo e giovinetto io cercassi i miei maestri all’interno dell’ormai archeologico reame simbolista e decadentista. I testi, che già Praz veniva sapientemente storicizzando, non finivano di sembrarmi attuali e cattivanti, e ne aspiravo l’odor di zolfo con narici avidissime. Murato entro il polmone d’acciaio del mio paese, ignaro di Ungaretti e Campana, di Eliot e Montale, i santi a cui accendevo le mie candele erano naturalmente il Pascoli conviviale, il D’Annunzio alcionico e paradisiaco, un Baudelaire in prosa italiana, il Wilde di Salomè, il Nietzsche dello Zarathustra e, infine, i più bizantini fra gli autori inclusi nell’antologia di Léautaud e Van Bever, fortunosamente occorsami fra le mani.
Da ciò l’anacronismo, abbastanza divertente, dei miei primi versi, ectoplasmi à la manière de…, incerti fra truculenta e languore, e portatori di malattie e lussurie inventate al di là del credibile.
Sarebbe presto venuta la guerra ad aprirmi gli occhi; tuttavia a quei peccati di gioventù e alla loro lampante ingenuità ho conservato affezione, come suole accadere a chi giovane non è più. Al punto che, tanto tempo fa, quando Glauco Viazzi raccolse un’antologia di testi liberty e crepuscolari, fui tentato di inviargli i miei, succubi del medesimo gusto, gabellandoli per reliquie ereditate da un nonno defunto. Ero pronto a scommettere che ci sarebbe cascato, epperò non ne feci nulla, lo scherzo aveva pochissimo sale. Ancor meno sale ha oggi disseppellire qualsivolglia pagina di quel quaderno, se non fosse la postuma soddisfazione di concedere l’onore della stampa al sedicenne di allora, che ne sarebbe stato felice; e, soprattutto, di fornire cavallerescamente a chi non mi ama le controprove di una tara antica: i miei vizi futuri, in incubazione, eccoli tutti qui.

La luce, l’ombra

Odio la cieca luce che si svena
lacrimosa e banale sulle mura,
e va tracciando con la mano impura
incubi chiari nell’aria serena,

e trascina smarrita per la via
gli occhi limpidi ed i sandali stanchi,
e ripete su mille specchi bianchi
le stesse pallide monotonie.

Ma se socchiudo gli occhi, oh meraviglia!,
l’aria di rosse immagini s’ingombra…
Se chiudo gli occhi, magnifica è l’ombra
al sogno che mi spunta fra le ciglia.

Tremare nella mia grande anima effusa
il grande gorgo che non ha l’eguale.
Folto d’ombra, sorrido alla sacrale
Notte sotto la mia palpebra chiusa.