Carteggio di gioventù
Angelo Romanò-Gesualdo Bufalino
Carteggio di gioventù (1943-1950)
A cura di Nunzio Zago
Valverde, Il Girasole, 1994
Invito alla lettura
Qualche motivo d’imbarazzo, qualche onesto rossore, rileggendo queste antiche carte, così cariche, specie all’inizio, di scorie letterarie ed esistenziali. E tuttavia anche il convincimento che non sia del tutto inutile farle conoscere, a testimonianza d’una condizione morale che forse non era da pochi, a quel tempo, fra i ventenni sorpresi dalla guerra con Montale e Rimbaud sotto il cuscino. Vissuti più o meno da estranei nell’aria fascista, ma sprovvisti di bussole certe per orientarsi fra i terrori del presente e le incognite del futuro, non stupisce che taluni di loro si rifugiassero nel privato, alludendo alla storia solo per cifre ed enigmi (anche per la preoccupazione di nascondere alla censura postale il proprio stato di renitenti).
Un insolito epistolario, dunque. Dove ogni effusione suona falsa ed insieme autentica; dove sotto lo scialo delle parole circola un soffio di strazio reale: quei ragazzi non giocavano a mostrarsi infelici, qualunque fosse la radice (amori impossibili, salute a pezzi, scacchi metafisici) della loro infelicità. Sarebbe venuta presto la Liberazione a spazzare via, con tante altre, queste foglie secche, costringendo ciascuno a cercare, trovare, perdere, inventarsi una faccia e una strada.
Restano questi pallidi fogli dissepolti. L’uno dei due corrispondenti, che all’altro è misteriosamente sopravvissuto, li dedica alla sua memoria e al suo silenzio lontano.
maggio 1950
Carissimo Angelo,
sono stato contento di ritrovare sul mio tavolo la tua vecchia calligrafia, oggi. Io avrei voluto scriverti da tanti mesi, ma ogni volta mi sentivo incapace delle ambizioni d’un dialogo, la colpa che mi dà più rimorso nella vita è di avere sbagliato ogni dialogo, di essere stato sempre troppo astuto o debole o pigro. E tuttavia sono così contento ora di scriverti, di chiederti o di risponderti qualcosa…
Vorrei provarmi in un racconto lungo che ho in mente, non so…
In ogni modo sono tutte ambizioni lentissime e di poco respiro…
Io vorrei che tu ti affaticassi un po’ meno in questa pur splendida filologia…
Ricordo un racconto sull’Uomo di una luce così debole e tenera, non scrivi più nulla così?
Io a furia di cure, e cibi mangiati per forza, e immobilità, son diventato enorme, con una faccia nuova e artefatta che non riconosco. Forse, anche se i medici dicono di no, qualcosa continua a covare debolmente laggiù, dentro di me. Ogni primavera, tre o quattro volte, e anche ieri, sputo una gocciola di sangue, ma dicono che non importa, che è la gola o i bronchi o chissà che…
Non scrivo nulla o quasi, ho vaghi progetti. La letteratura, almeno nella sua accezione quotidiana di commerci complicati e risse e parole, mi appare sempre più una cosa proibita e ostile, forse non serve alla mia vita, forse io non so vivere fuori del deserto, e certamente le mie parole non servono agli altri se così poco servono a me. Per questo anche mi piace questa provincia di lune dolci e di amici mediocri che amo e mi amano e con cui passeggio senza dir nulla…
Dino